In questi giorni molti commentatori politici hanno lanciano l'allarme per il ritorno dei democristiani nella politica italiana. Infatti tutte quelle persone che la diaspora politica,
tangentopoli e la persecuzione mediatica ha diviso e smembrato in partiti e
partitini, si son ritrovati insieme per l’elezione del nuovo Presidente della
Repubblica.
Mentre questa avveniva, in Parlamento si festeggiava la
giornata del “white flower pride”, con
qualche deputato che cantava l’inno alla Democrazia Cristiana.
Invece noi, incollati
al video per ascoltare la nenia dello scrutinio, con lo spoglio delle schede di
votazione da parte del Presidente della Camera, ci aspettavamo l’improvvisa apparizione
di zio Giulio, De Mita, Segni, Forlani, Cossiga e …. chi più ne ha ne metta.
Ma i neo DC-2.0, nipoti e figli dei balenotteri bianchi degli anni ’70 e ’80, sono
riemersi, ed in poco tempo sono riusciti a mettere al Quirinale il grigio
Mattarella e l’estroso Renzi a Palazzo Chigi. Non avremmo mai pensato di morire
democristiani, ma non ci saremo neanche aspettati che il richiamo della foresta potesse
essere così forte anche dopo anni. Ma fare similitudini con lo stile della
vecchia politica è azzardato, perché molti protagonisti di oggi, con esclusione di Renzi, nella prima repubblica non potevano neanche ambire alla carica di consigliere Municipale. Ma il
democristiano per sua natura non può essere geneticamente modificato e prima o
poi il suo carattere, che sia positivo o negativo, emerge con forza nel tempo. Infatti se negli anni del dopo tangentopoli la politica post-democristiana era caratterizzata
da quella becera dei “due forni”, oggi, con l’elezione del Presidente della
Repubblica, si è passati ad una politica pratica e vecchio stile, che
con i suoi metodi poco ortodossi, con
tanto bastone e poca carota, non bada troppo al formalismo di palazzo e va
avanti.
Morale della storia? La DC è risorta, o forse non è mai morta perché si è evoluta riscoprendo le sue origini.
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