venerdì 18 ottobre 2013

La morte di Priebke riapre le ferite della guerra civile Italiana

Il 16 ottobre del 1943 Roma conosce purtroppo la prima deportazione e fatalità il 13 ottobre del 2013, a quasi 70 anni da quel tragico evento e a cento anni di età, muore nella casa romana dove era agli arresti domiciliari, il boia delle fosse Ardeatine, Erich Priebke.
Capitano delle SS, fu esecutore dell'uccisione di 335 civili il 24 marzo 1944 presso le Fosse Ardeatine, su ordine del generale Herbert Kappler, quale rappresaglia per l'attentato dei Gruppi di azione patriottica in via Rasella, avvenuto il giorno prima, in cui erano rimasti uccisi 33 militari altoatesini del SSPolizei-Regiment “Bozen”. 

Fuggito alla fine della guerra in Argentina, Priebke venne riconosciuto da un giornalista che lo intervistò. Venne poi estradato in Italia, processato, in un primo momento assolto per intervenuta prescrizione, poi condannato all'ergastolo.
Un personaggio che ha fatto parlare non solo da vivo ma soprattutto da morto. Basti pensare alla difficoltà di celebrare i funerali e soprattutto individuare un cimitero disponibile ad accoglierlo.
Ma la sua morte ha risvegliato in tutti noi il ricordo o a rivivere nei cuori le peggiori tragiche idee del Novecento.
Ancora una volta comunisti contro fascisti, che ci hanno fatto tornare indietro con gli anni, anni che sembravano essere lontani anni luci ed assopiti dai discorsi sullo spread o sulla candidabilità di qualcuno.
Momenti quelli di Albano che hanno mostrato la parte di un popolo che non dimentica, ma che anche mostrato un Paese ancora in conflitto con se stesso, indignato per una memoria offesa e nostalgico nello stesso momento.
Ma Erich Priebke è e resta l’emblema di un’Italia occupata, in cui i protagonisti sono stati i molti eccidi come quelli delle Fosse Ardeatine, degli ebrei italiani inviati nei Lager, del bombardamento su San Lorenzo, di una guerra terribile che ha portato distruzione, violenze, stupri e morte, ma anche il simbolo di quello che fu dopo il ’45 con gli orrori del “triangolo rosso della morte in Emilia” e delle foibe. 

Quindi non si tratta di un capro espiatorio la cui morte porta via tutti i mali del passato, ma attenzione però ha non trasformare la sua morte e la sua tomba in un simbolo, perché come ci ricorda Foscolo ne “I Sepolcri”, questa può essere interpretata dai vivi come una celebrazione per quelle azioni che possono dare per qualcuno un significato alla vita umana e in questo caso dobbiamo evitare che gli esempi negativi che furono prodotti nel secolo scorso possano essere emulati.

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